martedì 4 marzo 2014

Putignano è una festa

“Se vuoi giungere a Putignano, nel paese della festa e del Carnevale, dell’artigianato e della piccola industria, devi salire sulla schiena di colline ricoperte di ulivi, mandorli, ciliegi e di querce secolari che sopravvivono ai margini dei campi pettinati dai trattori; fra trulli, masserie e muri a secco che per un istante ti ricordano “un popolo di formiche” che non c’è più, perché travolto ormai da tempo dall’onda lunga del cemento e della modernità”.


È questo l’incipit del nuovo libro di Pietro Sisto, “Putignano è una festa” (Laterza Editori, 2014), offrendo al potenziale visitatore un quadro perfetto del territorio di questa ridente città in provincia di Bari. Noi l’abbiamo visitata in occasione della 620^ edizione del Carnevale, e ne siamo rimasti letteralmente colpiti. E oggi vi raccontiamo anche perché. Siamo giunti in città intorno alle 17 e abbiamo iniziato la nostra passeggiata dal corso principale di Putignano, Corso Umberto I, dove erano posizionati i carri allegorici che in questa edizione erano dedicati a Giuseppe Verdi.  Migliaia di flash, nasi all’in su, maschere coloratissime, urla di gioia dei bambini, facevano da cornice a questi “giganti” che gareggiavano tra loro: certo, perché di una gara si tratta. Dovete sapere che i maestri cartapestai di Putignano lavorano un intero anno alla preparazione dei propri carri, per poi  sfilare e tentare di vincere il premio come miglior carro dell’anno. Tra i 7 partecipanti, il carro vincitore è stato “Va sull’ali dorate”, ovviamente ispirato ad uno dei cori del Nabucco di Verdi, mentre il secondo premio è andato a “Ride bene chi ride la risata final” e il terzo a “La Travagliata (non vi ricorda forse un’altra opera di Verdi?). Oltre alla sfilata dei gruppi mascherati, anche una serie di iniziative culturali legate al Carnevale, come per esempio l’allestimento nella biblioteca comunale della Casa di Farinella. Chi è Farinella? Beh, la farinella è uno sfarinato di ceci e orzo pestati e tostati la cui tradizione è talmente radicata  nel territorio che nel tempo ha dato il nome alla maschera simbolo delle sfilate di Carnevale. Questa farina è utilizzata per stemperare il sapore dolciastro dei fichi, oppure può essere utilizzata per “fare la scarpetta”, semplicemente versando nel piatto un po’ di farinella fino ad ottenere una soffice pastella. Non vediamo  l’ora di assaggiarla ancora! Si parlava appunto della Casa di Farinella, piccolo museo in cui è stato possibile ammirare alcune delle “sculture” in cartapesta di Armando Genco, protagonista indiscusso dei corsi mascherati per circa trent’anni, oltre ad una sezione in cui sono conservati manifesti, documenti d’archivio, foto e resoconti giornalistici delle principali edizioni del Carnevale dal fascismo agli anni 50 e in un’altra sezione alcune miniature dei carri vincitori delle ultime edizioni. Al piano terra, invece, due mostre, una dedicata a “u Bbaresidde”, esilarante protagonista e interprete della tradizione al mascheramento dei putignanesi , l’altra di manufatti e testi fotografici di Armando Genco. Ovviamente non abbiamo perso occasione per girovagare tra le vie di Putignano, soffermandoci, per esempio, in Piazza del Plebiscito, dove si trovano il Palazzo del Sedile, Palazzo Miccolis e la splendida Chiesa Monumentale di S. Pietro Apostolo, la cui struttura originaria risalirebbe al XII secolo. Al suo interno, meravigliosi altari barocchi e sculture attribuite a Stefano da Putignano e alla sua scuola. Proprio così, Stefano da Putignano, uno degli scultori più prolifici del rinascimento meridionale, molto noto per i suoi presepi monumentali.



Giunti nuovamente su Corso Umberto, la festa è ormai entrata nel vivo. Sono le 19.30, migliaia di persone affollano il corso, tra i carri allegorici che hanno ripreso il loro movimento, accompagnati da una musica scatenatissima e assordante, quasi a creare un luna park ambulante, e i tanti giocolieri pronti a farsi fotografare dai  visitatori desiderosi di portare con sé un piccolo frammento di un Carnevale che nulla ha da invidiare ai più blasonati carnevali settentrionali. A malincuore, abbiamo salutato “San Carnevale”, dandogli appuntamento al prossimo anno.

Apulia Tour Guide
04/03/2014

giovedì 19 dicembre 2013

La Storia di Babbo Natale: E' vero che lo inventò la Coca Cola?


Diversi sono i nomi che ricevette Babbo Natale in tutto il mondo. Papà Noel, Viejito Pascuero, Santa Claus... Da dove viene realmente? Qui la risposta.



Nel parlare di Babbo Natale, la storia di San Nicola si fa presente nel nostro racconto. Perchè grazie a questo Santo e alle sue vicende che nacque la storia di Santa Claus.

Questo Santo venne al mondo nel secolo III a Petras (Grecia) in una famiglia ricca. Alla morte dei suoi familiari, Nicola decise di regalare tutti i suoi beni e dedicarsi alla vita religiosa; ordinato sacerdote alla sola età di 19 anni, subito divenne Arcivescovo di Myra nella Turchia meridionale. San Nicola si distinse per la sua generosità con i più piccoli della nostra società, con i bambini.

Una leggenda

Nella città natale di Petras, viveva una famiglia molto povera composta da padre e da tre sorelle. Nessuno avrebbe mai sposato le tre fanciulle in quanto senza dote.
La soluzione del genitore, suo malgrado, era quella di venderle una volta che avessero raggiunto l'età da marito.



Nicola, allora, legò in un sacchettino alcune monete d'oro che lanciò attraverso una finestra che dava sulla strada. Ciò permise alla prima delle tre ragazze di potersi sposare. La stessa cosa fece quando arrivò il momento della seconda figlia. Il padre, a questo punto decise di investigare su quello che stava accadendo perchè voleva sapere chi fosse colui tanto generoso da compiere quei gesti. Rimase allora tutta la notte a spiare attraverso la finestra, dalla quale potette riconoscere Nicola che lanciava un terzo sacchettino; corse in strada per ringraziarlo, ma Nicola, gli chiese di mantenere il segreto. Presto però la sua fama di uomo generoso si diffuse e, una volta Santo, divenne il protettore delle ragazze da marito.

Ogni anno, a Bari nella Basilica che ospita le reliquie del Santo, il giorno del 6 Dicembre esiste ancora l'usanza da parte delle ragazze in cerca di marito di girare attorno ad una colonna posta in cripta per tre volte e di lasciare un biglietto con i desideri perchè questi si possano realizzare.


San Nicola e la sua storia fu ripresa dagli olandesi a partire dal Secolo XIII: lo rappresentavano con barba bianca ed ornamenti ecclesiastici ( ricordiamo che siamo in piena Età Media, nella quale il Teocentrismo predominava, ciò voleva dire che la concezione religiosa era l'occhio della società di quel momento ), a dorso di un mulo, intento a portare regali ai bambini buoni e fasci di legna a quelli cattivi.

La tradizione olandese lo riprende anche accompagnato da Zwarte Piet (Pietro Nero, l'Uomo Nero in Italia) che picchia i bambini con un bastone o li rapisce per portarli nella Spagna moresca in un sacco.

Il suo nome era Sinterklaas e la tradizione di donare regali ai piu piccoli attraversò con loro l'Atlantico con l'obiettivo di colonizzare l'America del Nord. Da Nuova Amsterdam (l'attuale New York) la fama di Babbo Natale si diffuse in tutto il mondo.

San Nicola diventa Santa Claus

Due scrittori statunitensi furono coloro che dettero impulso alla fama di Santa Claus o del Viejo Pascuero, così come lo si conosce nei paesi dell'America Latina.
Washington Irving scrisse un libro nel 1809 nel quale gli dava un aspetto più pagano, lo “spogliò” dei suoi indumenti religiosi, per trasformarlo in un personaggio bonaccione e mite, che montava un cavallo bianco volante e che distribuiva regali attraverso i caminetti. Questo fece si che il nostro personaggio diventasse molto popolare e cambiasse di nome, dall'olandese Sinterklaas al Santa Claus inglese.
Nell'anno 1823, il professore universitario Clement Moore modificò la figura del Vecchietto, togliendogli un po' il carattere magico dato da Irving e riportandolo ad una figura un po' più credibile. Gli cambiò il cavallo bianco con delle renne che tiravano una slitta e lo convertì in un personaggio allegro e più vicino ai bambini. Fu lui che spostò la visita di Babbo Natale dal 6 dicembre al 25 dello stesso mese.
Nell'anno 1863, Babbo Natale acquisì la fisionomia attuale di bonaccione grassoccio e barbuto con la quale lo si conosce oggi: questo produsse la fantasia del disegnatore tedesco Thomas Nast, che disegnò questo personaggio per le sue “strisce natalizie” sull'Harper's Weekly. Come fonte d'ispirazione, Nast, d'accordo con alcune teorie, si basò sugli indumenti che portavano i Vescovi dell'epoca.
Fu nel Secolo XIX che il Santa Claus Statunitense passò in Inghilterra e da li in Francia, dove si fuse con Bonhomme Noel, il precursore del nostro Papà Natale, che aveva un fisico simile a quello di Santa Claus e vestiva di bianco con dorature vive.
La tradizione che vuole Babbo Natale arrivare dal Polo Nord nacque con un annuncio pubblicitario di una azienda nord-americana, la Lomen, alla fine del secolo XIX. Si popolarizzò l'idea delle renne natalizie come mezzo di trasporto di Santa Claus.
E' nel secolo XX, e più precisamente nell'anno 1902, che, nel libro per bambini “The Life and adventures of Santa Claus” di L. Frank Baum, si da origine all'immortalità di Claus, così come a quella di Santo.
Il commerciò entrò ancora una volta in questa storia. La Coca Cola incaricò il pittore Habdon Sundblom di rimodellare la figura di Santa Claus/Papà Natale, per renderlo più umano e credibile; progetto che fu portato a termine nel 1931.
E' solamente una leggenda che i colori del Vecchietto si debbano solo all’influenza della citata impresa, anche se non si può negare che gli stessi furono decisivi per la popolarizzazione dei colori e del mito stesso. I colori di questa figura e l'influenza della Coca Cola sono stati tema costante di polemica.

Nel revisionare i documenti dell'epoca, si può concludere che, sebbene i colori rosso e bianco con i quali si rappresenta il Vecchietto siano legati alle campagne pubblicitarie dell'azienda, i suoi pubblicisti non furono i primi a rappresentare l'amico dei bambini a colori, tant’è che a partire dalla metà dell'800 fino ai primi dell'900, il verde fu uno dei colori più utilizzati per rappresentare Santa Claus.
Per quanto concerne il luogo d'origine del Vecchietto, la tradizione vuole che provenga dall'Emisfero Nord e, di conseguenza, nei primi del XX secolo nel mondo si fece strada l'idea che Egli vivesse al Polo Nord; bisogna ricordare anche gli altri luoghi menzionati come sua dimora, cioé la Terra dei Sami svedese e quella finlandese, e la Groenlandia, tenendo presente che il Polo Nord si trova nel mezzo dell'Oceano Artico.


Basilica di San Nicola - Bari

Per gli ortodossi invece la figura di Babbo Natale coincide con quella di San Basilio Magno, primo padre dei Cappadoci, che la notte di Capodanno porta i regali ai bambini.

Questa è la storia del personaggio che migliaia di bambini nel mondo aspettano con ansia, con la speranza che quest'anno li porti ciò che hanno richiesto nelle tante letterine appese agli alberi o magari lasciate nella Basilica di San Nicola in Bari. L'importante è che si dia un significato alla venuta di Babbo Natale nelle nostre case, già che in caso contrario si trasformerà in una semplice festa commerciale.

Come racconteresti la leggenda della venuta del Vecchietto ai tuoi figli?  Lascia un commento qui di seguito.

Giuseppe
giuseppe@apuliatourguide.com

giovedì 31 ottobre 2013

Le zucche di Ognissanti in una splendida cornice: Orsara di Puglia


 Apprendiamo con immenso piacere e orgoglio che le tradizioni pugliesi legate alle celebrazioni di Ognissanti hanno una propria identità, a dispetto della diffusione nel nostro paese di una festa di origine anglosassone come quella di Halloween. Con questo incipit, non intendiamo aprire un dibattito sull’esterofilia italiana e, in particolare, su quella pugliese. Vorremmo piuttosto sottolineare l’importanza di conoscere le tradizioni del nostro territorio.
 
  Per questo motivo, oggi vi portiamo alla scoperta di Orsara di Puglia, in provincia di Foggia, un borgo di 2990 anime, collocato a 635 metri s.l.m., in un’area nota come il Sub-appennino Dauno, una delle subregioni della Puglia. 
Appennino Dauno
Qui possiamo scoprire che il rito di collocare sull’uscio delle case una zucca illuminata da un cero non è soltanto un rito d’oltreoceano, ma lo è anche di Orsara di Puglia. Anzi, c’è di più: qui, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, la notte di Ognissanti, durante una celebrazione chiamata “Fuca coste e cocce priatorije" (Falò e teste del purgatorio), ha luogo una vera e propria gara per premiare la zucca meglio decorata. Che non è quella di Jack, l’uomo che aveva stabilito un patto col diavolo e che nella notte di Halloween andava a caccia di un rifugio. In questo caso, la presenza della zucca indicherebbe il rifiuto da parte degli abitanti ad accogliere la sua infelice anima, mentre nel caso di Orsara, le zucche accese aiuterebbero il defunto a ritrovare la casa in cui era vissuto. Inoltre, ad Orsara di Puglia, durante tutta la notte del 1° novembre, si propaga anche il crepitio delle ginestre utilizzate per ardere i falò. Perché proprio la ginestra? Si tratta di un arbusto che, una volta in fiamme, si volatilizza facilmente, rappresentando il compimento del legame cielo-terra. Secondo la tradizione, dunque, i defunti tornerebbero nella propria abitazione per trovare ristoro, prima di continuare il loro peregrinaggio notturno.

Naturalmente questa celebrazione ci offre la possibilità di visitare le bellezze architettoniche e paesaggistiche di questo magnifico borgo della Daunia finora poco esplorato. Per esempio, Orsara è nota per la presenza dello splendido Complesso Abbaziale dell’Angelo, che in realtà consta di ben tre siti, ovvero la Grotta di San Michele, La Chiesa dell’Annunziata e la Chiesa di San Pellegrino. Situato nei pressi della caratteristica Piazzetta Mazzini e facilmente raggiungibile a piedi, il Complesso Abbaziale conferma ancora una volta quanto il culto di San Michele, risalente all’ VIII sec. d.C., sia fortemente radicato in questi luoghi, se si pensa alla gran quantità di grotte presenti sul vicino Gargano, dove, secondo la tradizione, il santo sarebbe apparso.

Passeggiando su Corso Vittorio Emanuele, si puo scorgere a destra una chiesa, detta dei Valdesi. Ad Orsara è presente una piccola comunità valdese di circa 40 membri. Ma chi sono i valdesi? Innanzitutto, spieghiamo da dove proviene questo nome. Pietro Valdo (XII-XIII sec.) era un ricco mercante che rinunciò a tutti i suoi beni per dedicarsi soltanto alla diffusione della Bibbia, che egli stesso fece tradurre per “liberalizzarne” la lettura e la predicazione. In pratica, si trattava di una forma di religione protestante, antecedente alla riforma del 1513, che costò repressioni e persecuzioni a tutti i suoi proseliti fino alla metà del XIX secolo. Infatti, solo il 17 febbraio 1848 il re Carlo Alberto riconobbe ai proseliti valdesi la parità dei diritti civili e politici, mentre nel 1932 fu costruito la suddetta chiesa dove ancora oggi i valdesi si riuniscono. Il 17 febbraio, in particolare, essi festeggiano il ricordo della concessione del re, che rappresentò anche l’inizio della libertà di culto valdese. 
 
 
Come vedete ogni luogo può narrare la propria storia e far rivivere le proprie tradizioni, che molto spesso riservano curiose sorprese. Quindi, il nostro invito è come sempre quello di andare alla scoperta di questi luoghi che noi stessi di tanto in tanto visitiamo, proprio per offrirvi nuovi spunti di viaggio. Oltre ad Orsara, vi segnaliamo nella zona anche la fortificata Ascoli Satriano con il suo Polo Museale e Bovino il borgo degli ottocento portali di pietra . 
  

 
Apulia Tour Guide
29/10/2013

giovedì 24 ottobre 2013

Un salto nel passato, uno sguardo al futuro: benvenuti a Mottola!


 

Avete mai sentito parlare di un piccolo centro abbarbicato su una collina a circa 380 m s.l.m., da cui è possibile dominare con lo sguardo il golfo di Taranto ed il verde delle montagne dell’alta Sila? Dove nel 272 a.C. Pirro, Re dell'Epiro fu sconfitto in un'epica battaglia dal console romano Curio Dentato? Stiamo parlando naturalmente di Mottola, in provincia di Taranto.
Questa mattina, noi di Apulia Tour Guide, raccogliendo il cordiale invito dell’Ufficio del Turismo e, soprattutto, colti dalla curiosità che ci contraddistingue, ci siamo stati e abbiamo deciso di raccontarvi la nostra giornata.
Iniziamo col dire che la visita non sarebbe stata possibile senza il prezioso supporto di due esperti del territorio, come Carmela d'Auria, archeologa e direttrice dell’Ufficio del Turismo di Mottola, e Luigi Traverso, guida turistica della Regione Puglia, che con la loro professionalità ed esperienza, ci hanno illustrato gli aspetti storici e naturalistici peculiari di questo affascinante comune del versante jonico pugliese.
Così, intorno alle 11, quasi accecati dal sole di ottobre, siamo partiti insieme ai nostri amici, Carmela e Luigi, alla volta di quella che viene definita “La Cappella Sistina della Civiltà Rupestre”, ovvero la Chiesa Rupestre di S. Nicola. 

 
Immersa in un vero e proprio orto botanico, tra profumi della macchia mediterranea quali il timo e l'alloro, la chiesa di S. Nicola, presenta tre navate e conserva preziosi affreschi di artisti sia locali che orientali, risalenti ad un’epoca compresa tra l'XI ed il XIII sec. Siamo rimasti decisamente incantati dinanzi allo splendore del ciclo di pitture del presbiterio: il Pantocrator in Deesis, la Dormizione di Giovanni Evangelista, la Visione di S. Stefano e le due icone di S. Michele Arcangelo. Interessante è inoltre la presenza all’esterno di luoghi per la sepoltura, oltre alle apposite canalizzazioni per la raccolta dell’acqua. Chissà quanti monaci tra bizantini e benedettini avranno pregato e sostato in questo luogo? E chissà quanti fedeli, studiosi o turisti si saranno soffermati a scrutare o semplicemente fotografare queste rocce millenarie?
Certo, perché quando si parla di Mottola si parla soprattutto di rocce che, data la loro natura calcarea, hanno addirittura consentito la creazione di veri e propri villaggi rupestri, come quello di Casalrotto, dove sorge la comunità monastica di S. Angelo, che conobbe il suo splendore nei secoli XII e XIII., e dove si può ammirare tra l’altro l’unica chiesa rupestre ad avere due piani sovrapposti. La cripta del livello superiore presenta una serie di affreschi, purtroppo non perfettamente leggibili, ma che tuttavia meritano una menzione, come per esempio il battesimo di Cristo nelle acque del Giordano ed un San Giacomo, unico nel suo genere. La cripta del livello inferiore, che presenta ancora alcune fosse in quanto luogo di sepoltura, è impreziosita, tra gli altri, da un affresco che rappresenta S. Pietro.

 
Carmela e Luigi ci hanno inoltre segnalato la presenza, sempre nella zona di Casalrotto, di antiche masserie settecentesche che, oggi come in passato, producono un ottimo pecorino, utilizzando il latte del proprio bestiame. Allora, perché non approfittare per uno spuntino?
Dopo la nostra piacevole pausa è stato bellissimo affacciarsi sulla Gravina di Petruscio, un'enorme spaccatura invasa dalla vegetazione, una sorta di Canyon Mediterraneo, altro luogo imperdibile dell’immenso territorio di Mottola. La nostra escursione è terminata con la visita del Santuario della Madonna del Carmine in una vera e propria oasi di pace, dove migliaia di fedeli giungono qui per assistere alle numerose funzioni religiose ma, in particolare, per la suggestiva Via Crucis che si snoda in un percorso impreziosito dalla presenza di ulivi secolari. 

 
Ma Mottola non è soltanto questo. Le tante iniziative, come la continua riqualificazione del territorio, e le attività messe in atto dall’Ufficio del Turismo, come per esempio le passeggiate a cavallo, i giri in carrozza o le visite guidate nel centro storico, consentono di scoprire un territorio a forte vocazione agricola (basti pensare alla grande quantità di vigneti, oliveti e frutteti), che guarda al futuro affinché l’ospitalità possa diventare il proprio fiore all’occhiello.
Apulia Tour Guide
16/10/2013

martedì 8 ottobre 2013

Basilicata: Non solo Turismo




Basilicata o Lucania? Da sempre altalenante tra la scelta di un nome piuttosto che un altro, questa splendida regione del sud Italia, non ha dubbi sulla propria importanza storica e la sua bellezza paesaggistica.
Lo conferma il sempre crescente impegno della APT (Azienda di Promozione Territoriale) e delle ProLoco, che da anni promuovono il proprio territorio attraverso iniziative culturali di rilievo, quali per esempio l’istituzione dei Parchi Letterari di Carlo Levi ad Aliano e quello dedicato ad Isabella Morra a Valsinni; l’istituzione di quattro presidi slow food, ovvero il caciocavallo podolico, la melanzana rossa di Rotonda, l’oliva infornata di Ferrandina e il pezzente della montagna materana, prodotti che “difendono” una civiltà contadina e la relativa cultura, contro la pressante e sempre più frenetica cultura del fast food; tutte quelle iniziative atte a consolidare e candidare Matera come Capitale della Cultura 2019, come per esempio Matera Baloon Festival e Materadio.
Ma la Basilicata (o Lucania?) è anche e soprattutto natura, in molti casi selvaggia e incontaminata. Io stesso mi sorprendo ogni qualvolta la attraverso. Non c’è un angolo del suo territorio simile ad un altro. Va certamente sottolineato che la Lucania si potrebbe definire come una “piccola Italia”, in quanto montagna, collina e mare, i tre elementi che caratterizzano la nostra penisola, sono presenti, seppure in misura diversa e, aggiungerei, poco equilibrata. Infatti è sufficiente pensare che il territorio regionale è per il 47% montuoso, il 45% collinare e l’8% pianeggiante.
Da questi elementi, l’importanza di istituire ben due parchi nazionali (quello del Pollino e dell’Appennino Lucano), tre parchi regionali, tra cui il Parco archeologico storico delle chiese rupestri del materano e il Parco Naturale Gallipoli-Cognato-Piccole Dolomiti Lucane, ed una serie di riserve statali, come quelle orientate delle Grotticelle e di Rubbio.
La presenza dell’acqua ha inoltre giocato un ruolo strategico nella storia della regione, se pensiamo agli importanti insediamenti greci, in particolare Metaponto, Heraclea (l’attuale Policoro), o quelli romani, come quello di Grumentum (oggi Grumento Nova): Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni , i cinque corsi d’acqua principali che consentirono ad antiche popolazioni di stanziarsi sul territorio e dare vita a quelle città che ancora rivelano il proprio passato, grazie alla presenza di siti archeologici considerati di immensa importanza per lo studio del territorio.
Insomma, dove c’è acqua c’è vita, e laddove c’è vita si presenta la necessità della convivenza: il vicinato, il sistema con cui sono stati concepiti i Sassi di Matera, rappresentano la più alta testimonianza della capacità di adattamento dell’uomo alle caratteristiche del territorio, caratterizzato da una gravina (che gli americani chiamano “canyon”) senza in realtà deturparla, e di sfruttare al meglio gli spazi per poter garantire la raccolta di quell’acqua senza la quale la vita stessa non sarebbe possibile.
Visitare i Sassi di Matera oggi significa non solo ripercorrere i set di tante pellicole di successo, come la Passione di Cristo di Mel Gibson o Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, ma è anche e soprattutto comprendere come sin dall’antichità fosse importante condividere quegli spazi che la natura ci ha concesso e sulla quale sarebbe oggi necessaria una riflessione più attenta e approfondita.


Questa pagina ha senz’altro un doppio fine: da un lato, quello di suscitare curiosità intorno ad un territorio certamente un po’ ameno, ma non troppo lontano, chiaramente visitandolo; dall’altro, quello di ripensare alle avversità di ogni sorta che le antiche popolazioni che ci hanno preceduto hanno dovuto affrontare per poterci riconsegnare un piccolo gioiello della natura quale è la Basilicata.

Vincenzo di Modugno, Guida Basilicata

mercoledì 27 marzo 2013

Riti della Settimana Santa a Francavilla Fontana

A Francavilla Fontana, città degli Imperiali e patria di Quinto Ennio in Provincia di Brindisi dalla Domenica delle Palme sino alla Pasqua di Resurrezione si è coinvolti nei riti della Settimana Santa.

In questi giorni varie processioni come quelle della Desolata e dei Misteri, statue queste ultime che rappresentano scene della Passione e della Morte di Gesù animano le strade cittadine.

Con  il Giovedi Santo si entra nel vivo dei riti. Lui in abito scuro della festa e Lei con il velo nero che ricorda le donne spagnole con la mantiglia, si apprestano alla visita dei "sepolcri". I penitenti chiamati "Pappamusci", in camice bianco ed incappucciati, scalzi e con in mano un lungo bastone iniziano la visita di tutte le chiese della città fermandosi a pregare davanti agli altari addobbati.

Durante la notte un gruppo di confratelli accompagnati da musicisti con strumenti antichi intonano delle "nenie" presso le case dei più anziani per invitarli alla processione del Venerdi.


Dal Crepuscolo sino alla Mezzanotte del Venerdi Santo le sei confraternite che vestono divise di vari colori portano per le strade della città le varie statue a passo lento accompagnate da marce funebri e dal sordo lamento delle "battole" che rompono il silenzio.

I riti si concludono la Domenica di Pasqua con la Processione del Gesù risorto tra gli scambi di auguri della popolazione cittadina.


martedì 16 ottobre 2012

Una Giornata a Bisceglie

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di una giornata trascorsa a Bisceglie di Vincenzo Di Modugno, guida e consulente per ApuliaTourGuide.

Ciao a tutti, mi chiamo Vincenzo, guida e consulente viaggi, e questo è il mio racconto di una giornata trascorsa nella regione Puglia, e precisamente nella mia amata città di Bisceglie. Prima di partire però vorrei darvi un po’ di informazioni e qualche cenno storico.




 La città di Bisceglie, che attualmente conta circa 54 mila abitanti, è situata a 35 km da Bari, capoluogo della regione. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Infatti, secondo gli storici, Bisceglie, come il resto della Puglia, sarebbe stata abitata sin dal paleolitico. Tuttavia, per convenzione, la storia di Bisceglie si suddivide in diversi periodi, a partire dal periodo medioevale, che va dal sec. VIII d.C. circa alla prima metà del sec.XI. È proprio a questo periodo che risale il suo centro storico.
 
Bene, ora che sapete qualcosa di più su Bisceglie, posso cominciare il mio racconto e… buona passeggiata!

Per la mia permanenza a Bisceglie ho scelto di pernottare in un grazioso b&b, situato a pochi passi dal mare e immerso nel verde. Ma se il vostro budget è ben diverso, potete tranquillamente trovare luoghi più lussuosi e confortevoli. Quindi, appena sveglio, dopo aver piacevolmente riposato, ho naturalmente dato il via alla mia giornata, che non poteva che cominciare con una ricca e gustosa colazione in uno dei tanti bar della città. Per esempio, io ho scelto di fare colazione presso il bar pasticceria Moon Flower, che offre un’ infinita varietà di gustosi croissant e pasticcini in un ambiente piacevole e accogliente. Dopo esserci ben rifocillati, vi porto alla scoperta della mia città, Bisceglie. Ma da dove viene questo nome? Diverse sono le ipotesi. Secondo il vescovo e storico Pompeo Sarnelli, il nome deriverebbe dal compito di “vigilanza” che la città svolgeva all’epoca dei Romani, per cui Vigiliae (sentinelle); o da Vescègghie (querce), nome che la città assunse durante l’epoca normanna. Per quanto riguarda il territorio, possiamo dire che la città è attraversata da una serie di lame (Lama Paterno, Lama di Fondo Noce, Le Lame, ecc.), incisioni erosive quasi sempre asciutte, profonde non più di dieci metri e caratteristiche del paesaggio della Murgia costiera. 



Dovete sapere che la Murgia è una sub-regione pugliese molto estesa, corrispondente ad un altopiano carsico di forma quadrangolare situato nella Puglia centrale, e caratterizzato, sul versante adriatico dalle lame, mentre sul versante ionico è attraversato dalle gravine, erosioni carsiche paragonabili ai canyon americani, con pareti ripide e profondità, in alcuni punti, superiori ai 100 m.

 
 La nostra prima tappa, il Dolmen della Chianca, si trova a circa 5 km dal centro in direzione Corato, ed è raggiungibile naturalmente in macchina, ma nessuno ci vieta di farlo in bici, magari organizzando una piacevole escursione in partenza dallo Iat di Bisceglie. Il Dolmen della Chianca, è un monumento funerario risalente all’età del bronzo, che attesta quindi insediamenti umani sin dal 3000 a.C. e realizzato mediante l’impiego di grandi lastre di pietra infisse in tumuli di terra e pietrame. Nel 2010, il Dolmen della Chianca fu dichiarato “messaggero di pace” dal Club Unesco. Devo ammettere che questo monumento suscita davvero molta curiosità, così come gli olivi che lo circondano. Visitando questo sito infatti ho avuto anche la possibilità di osservare da vicino alcuni di questi splendidi alberi, vere e proprie sculture naturali che caratterizzano fortemente il paesaggio pugliese. Con vero dispiacere, dopo circa mezz’ora di sosta, ho ripreso la mia macchina e mi sono diretto verso Bisceglie, per visitare il centro storico: sono letteralmente passato dalla preistoria al medioevo. 



La mia visita comincia dalla Cattedrale di S.Pietro, luogo intorno al quale si sviluppò, durante il Medioevo, tutto il centro storico. La Cattedrale, splendido esempio di architettura romanico-pugliese, terminata nel 1295, è il luogo di culto dei fedeli biscegliesi, soprattutto perché ospita le reliquie dei santi protettori della città, S.Mauro, S. Sergio e S.Pantaleo. Il 14 settembre, giorno della mia visita alla Cattedrale, ho potuto assistere alla messa per la SS. Addolorata, la cui statua lignea è, in occasione di queste celebrazioni, posizionata sull’altare centrale della Cattedrale: non vi nascondo che ho provato una certa sensazione in quanto la Madonna sembrava in posizione di elevazione verso il cielo. Uscendo dalla Cattedrale, ho ripercorso Via Cardinale dell’Olio fino all’incrocio con Via Frisari: su questa via si trovano una serie di palazzotti nobiliari, come per esempio il Palazzo Frisari e il Palazzo Berarducci, oltre al Museo Civico Comunale e alla Biblioteca Comunale. Proseguendo su questa via si giunge infine su Via Trento, da dove si può ammirare il porto turistico: le belle giornate di settembre invitano il visitatore ad approfittare dello splendido mare per una gita in barca.



 Avendo ancora poco tempo a disposizione e sognando ad occhi aperti, sono tornato verso il centro nei pressi della “piazza del pesce”: l’odore dei prodotti ittici stuzzica l’olfatto, ma anche il gusto, ricordandomi che è anche giunta l’ora di pranzo. Quindi ho deciso di fermarmi in una delle locande storiche della città, “Il Cerriglio”. Nota tra i biscegliesi come un luogo troppo spartano e vecchio per i tempi moderni, questa locanda ha riconquistato la propria dignità in quanto negli ultimi anni i viaggiatori come me sono alla ricerca di posti tipici come questo dove il tempo sembra quasi essersi fermato; inoltre Il Cerriglio si è dato un tocco di modernità ampliando i propri spazi avendo disposto dei tavoli sull’antica strada privata dai cui prende il nome la trattoria, rendendo piacevolissima la permanenza dei propri ospiti. È inutile dire che ne sono uscito estasiato dopo aver degustato un pranzo a base di pesce: cavatelli con le cozze, calamari allo spiedo e insalata di polpi. Non poteva mancare l’ottima uva IGP Regina e il mitico sospiro, un dolce preparato per la prima volta in occasione del matrimonio tra Alfonso D’Aragona e Lucrezia Borgia. Dato che la ricetta originale è proprio di questa città, ho approfittato per fermarmi ad osservare la preparazione di questo dolce nello storico Bar Cattedrale. Il pomeriggio dal punto di vista meteorologico promette bene, ma è inutile vagare per le strade alle 2 del pomeriggio: questa è l’ora della pennichella, quindi ne approfitto anch’io per riposare un po’. 



Dopo aver trascorso una mattinata all’insegna della cultura e della storia di Bisceglie, decido di rilassarmi dedicandomi allo shopping: via Aldo Moro pullula di negozi di abbigliamento, per cui decido di percorrerla per cercare qualcosa di interessante. Non ancora soddisfatto dei miei acquisti, approfitto per fare un salto al vicino Outlet di Molfetta: qui la scelta è talmente vasta da lasciarmi ancora nella piena indecisione, ma io sono fatto così. Nel frattempo, vedo una fila interminabile davanti al multisala UCI cinema sempre all’interno dell’Outlet: sono i giorni della programmazione del film Il Cavaliere Oscuro –Il Ritorno: decido di trascorrere la mia serata qui. Il giorno dopo riparto per un nuovo itinerario, ma chissà quanto altro ancora avrei potuto vedere di questa città. La mia breve permanenza qui a Bisceglie mi ha permesso di comprendere che in città come questa la vita scorre in fretta perché c’è sempre qualcosa da fare, ma i ritmi non sono mai troppo frenetici. 




Da queste parti per esempio si è sviluppata la cultura dello Slow Food, in contrapposizione alla cultura del Fast Food delle grandi città. Direi che questi luoghi sono quasi schiacciati dalla tendenza alla modernità, ma l’orgoglio per le proprie tradizioni li vede senz’altro vincenti in quanto, il gusto per una vita genuina e “slow”, permette loro di mantenere autentici quei valori come l’accoglienza, l’amicizia e, perché no, anche l’amore.

Vincenzo Di Modugno